L’Attesa che cambia la vita
Tornare a rileggere gli scritti di Matteo mi entusiasma, mi interroga, mi provoca, mi incuriosisce. Non si tratta di una curiosità epidermica, soddisfatta dal solletico di pochi frammenti raccolti qua e là. È piuttosto come la percezione di un’affinità più intima e radicale che mi spinge a cercare delle tracce di quello che per Matteo ha avuto valore, ha avuto peso per la sua esperienza umana e credente. Quello che mi succede, a contatto coi suoi scritti, assomiglia alla sensazione della fame che è provocata da un odore intenso e piacevole di cibo o dalla vista di un piatto prelibato che vanno a stimolare e accrescere la fame stessa. Quando leggo “Matteo” provo e sento crescere una certa “fame” per quello che di più bello e prezioso ha portato nel suo cuore, che lo ha spinto a vivere in un certo modo, a cercare Dio…
Rileggere “Matteo”, nel tempo di Avvento che stiamo iniziando, con la dimensione dell’attesa che lo accompagna, mi ha fatto accorgere di un particolare che prima non avevo notato. Provo a rappresentarlo attraverso un’immagine. Matteo è come la corda di una chitarra (strumento a lui congegnale!) che è accordata, pronta e tesa al punto giusto per emettere il suo suono specifico, corretto e armonioso, al tocco del musicista. Tento di ampliare la mia considerazione, facendo riferimento proprio ad alcuni testi.
«Mio Dio ho due mani, fa che una sia sempre stretta a te sicché in qualunque prova io non possa mai allontanarmi da te, ma stringerti sempre più; e l’altra mano, ti prego, se è tua volontà, lasciala cadere nel mondo». Ecco qui un “piccolo” (e chiamiamolo piccolo…) esempio di prontezza, schiettezza, disponibilità con cui Matteo si pone sia verso Dio che verso il mondo. Bellissima preghiera con la quale manifesta il suo completo coinvolgimento. Non è ancora pronto chi fosse preoccupato di tendere una delle mani, dimentico dell’altra.
Ma c’è un punto centrale che non voglio attardarmi a mettere in luce. Matteo è un giovane alla ricerca di riferimenti. Emerge chiaramente quello che è comune a tutti noi che nello spazio della vita siamo alla ricerca di punti grazie ai quali possiamo collocarci. È un po’ come quando oggi si chiede a qualcuno: “Mi mandi la posizione?”. È evidentissimo come Matteo cerchi nella vita, tra le sue relazioni e, più di tutti, con Dio, la “posizione”. E il suo crescere e il suo muoversi è un continuo “riposizionarsi”: «le varie vicende della vita ci devono servire a capire meglio come camminare lungo i sentieri di Dio».
Cosa comporta questa ricerca di riferimenti? Due atteggiamenti simultaneamente connessi. Da una parte “l’uscire da sé” nel confronto, nel dialogo autentico con i suoi riferimenti, riconosciuti importanti e preziosi. Dall’altra “l’entrare in sé” nel conoscersi, nello sperimentarsi, nel guardarsi alla luce di ciò che l’ha toccato, l’ha interrogato. È così che il Vangelo o la preghiera e lo stesso Dio, non sono per Matteo solo qualcosa da sapere, da fare, da praticare, ma da vivere profondamente, interiormente. «Dio è come un grande progettista che ha già costruito delle strade per noi, sarò io a scegliere quale prendere, ma sono sicuro che, sotto la sua protezione, non prenderò mai quella sbagliata … la mia avventura ha fatto evaporare da me il senso di superficialità, lasciandomi una rifioritura spirituale». Ogni autentico viaggio alla scoperta di riferimenti per la nostra vita, in realtà va di pari passo con il viaggio altrettanto decisivo quanto misterioso e drammatico verso la realtà di noi stessi. È sorprendente come Matteo lo abbia intuito e vissuto! E insieme a questo abbia colto come questa esperienza sia dinamica, dentro un movimento, dentro un cambiamento, sempre in crescita verso una totale “immersione”: «Spero di continuare a crescere al fianco del mio Signore». «Vorrei immergermi nel tuo amore mio Dio, per poter vedere il mondo come lo vedi tu».
In questo viaggio, Matteo sente la gioia del vivere che non nasce dalla coincidenza tra le nostre aspettative e le variabili della vita, ma da come la ricerca dei riferimenti nella vita e Dio per primo, mi permettano di conoscermi e realizzarmi. «Come ho già detto e ripetuto sono cresciuto dentro veramente molto. Sballottolato qui e là non ho mai perso la gioia di vivere. Sì, la gioia di vivere. Vivere la vita, perché la vita è bella!».
Questo ci lascia comprendere che la gioia di Matteo sia tutt’altro che spensieratezza senza problemi. È un’evidenza chiarissima della sua storia personale! «Che gioia. A causa della sofferenza potrei morire da un giorno all’altro, ma non ho paura. Non ho niente con me se non l’amore di chi soffre come me, e soprattutto quello di Cristo. Sono il più povero sulla Terra, eppure mi sento il più ricco».
E oltre alla sofferenza fisica Matteo è consapevole di dover fare i conti con la complessità del suo mondo interiore che porta con sé tante incertezze e dubbi: «Mi sembra di essere nella nebbia; posso vedere il mio futuro solo passo passo. I tanti dubbi sono poi squarciati qua e là da fulmini di certezze. Ecco la mia speranza, ecco la mia certezza: sei Tu Signore, stammi vicino!».
E c’è una vetta che lo attende. Lui può solo camminare, perseverare, continuare a salire. Quella visione, quella meta non la realizzata lui. Suo è solo il cammino, la meta è di Dio, è Dio! «Non c’è giorno in cui non pensi a Lui ed ai progetti che ha preparato per noi. Mi piacerebbe tanto riuscire a capire la mia strada, non come un banale oroscopo, ma per cercare di non contrastare mai il Suo piano con me. Il tempo passa è sto crescendo… e sono contento di vivere così. Il Signore è vicino a chi lo cerca! Credo quindi che l’obiettivo principale di ognuno sia proprio la ricerca di Dio, sperando di arrivare un giorno alla Sua presenza». «Voglio scalare il tuo monte, tra petali e spine, per arrivare un giorno alla vetta; dove non esiste né peccato né sofferenza, ma solo il Tuo Amore Infinito. Eccomi, arrivo!».
Don Marco Candeloro