Matteo Farina: nato dai brindisini Miky Farina e Paola Sabbatini in una clinica di Avellino, scelta dalla mamma per il parto, fin dai primi giorni di vita trascorrerà a Brindisi la sua intera esistenza; il 28 ottobre 1990 ricevette il Sacramento del Battesimo nella Parrocchia “Ave Maris Stella” di Brindisi; la parrocchia, con la quale egli ebbe sempre un profondo legame, è affidata alla cura pastorale dei Padri Cappuccini che trasmisero a Matteo, come agli altri giovani, lo spirito di san Francesco e la devozione verso san Pio da Pietrelcina. Matteo crebbe in una famiglia molto unita e di solidi valori cristiani; con la sorella Erika ebbe sempre un legame speciale, reso ancora più saldo nella fede e nella malattia. Fin da subito si dimostrò un bambino ubbidiente, sereno, socievole e curioso per tutto ciò che lo circondava, rivelando attenzione e cura per tutte le creature, anche le più piccole.
Chi lo ha conosciuto lo definisce “la dolcezza fatta persona”, una caratteristica, questa, che lo accompagnò in ogni momento della sua vita. Già dal primo anno della scuola elementare “G. Calò”, Matteo manifestò il desiderio di imparare, di conoscere cose nuove e belle. Rivelava un forte e serio impegno sia nelle attività scolastiche, sia nello sport, praticando diverse discipline, sia nella passione per la musica, trasmessagli da papà Miky, imparando a suonare alcuni strumenti. Cresciuto in una famiglia che viveva fortemente la fede cristiana, Matteo, a differenza di molti bambini della sua età, si mostrava entusiasta nella partecipazione al catechismo e alla Santa Messa. All’età di otto anni ricevette per la prima volta il Sacramento della Riconciliazione, a cui si sarebbe accostato con serietà e frequenza costante, soprattutto a seguito del sogno fatto nella notte tra il 2 e il 3 gennaio del 2000 in cui san Pio da Pietrelcina, a cui egli fu molto legato, proferiva: “Se sei riuscito a capire che chi è senza peccato è felice, devi farlo capire agli altri, in modo che potremo andare tutti insieme, felici, nel regno dei cieli”. Iniziò così, spontaneamente, all’età di nove anni, il bisogno di Matteo di evangelizzare, con modi garbati e senza mai mostrarsi presuntuoso, tutti coloro che gli erano intorno, dalla famiglia agli amici più stretti, ai conoscenti e, in particolar modo, ai suoi coetanei.
Scriveva così, di questo suo desiderio: “Spero di riuscire a realizzare la mia missione di ‘infiltrato’ tra i giovani, parlando loro di Dio (illuminato proprio da Lui); osservo chi mi sta intorno, per entrare tra loro silenzioso come un virus e contagiarli di una malattia senza cura, l’Amore!”.
Una missione, la sua, che sarà accompagnata da un quotidiano ascolto e lettura della Parola di Dio (all’età di nove anni, come impegno quaresimale, lesse tutto il Vangelo di Matteo), ma soprattutto dal vivere la Parola in prima persona.
La preghiera quotidiana fu, per Matteo, un strumento efficace e, durante la recita del Santo Rosario, affidava alla Vergine Maria i bisogni di coloro che lo circondavano.
Il 4 giugno 2000 Matteo ricevette il Sacramento della Prima Comunione. Il suo sentimento per Gesù, da questo momento in poi, crebbe sempre di più, alimentato dalla Santa Messa e dalla S. Comunione tutte le domeniche, dalla confessione assidua, dalla visita a Gesù Sacramento, dalla devozione al Cuore di Gesù con la pratica dei primi venerdì del mese e dalla recita del S. Rosario in onore della “Madonnina”.
Il 10 maggio 2003 ricevette il Sacramento della Santa Cresima dall’Arcivescovo Mons. Settimo Todisco e volle come madrina la sorella Erika, a motivo del loro indissolubile legame.
In quel periodo frequentava la Scuola Media “J. F. Kennedy”, dando grandi soddisfazioni alla sua famiglia per i risultati scolastici raggiunti e facendo emergere, sempre di più, la sua capacità di stringere relazioni di amicizia basate sulla fiducia e sulla sua innata disponibilità verso il prossimo.
Dopo un’estate trascorsa in maniera spensierata, Matteo, nel settembre 2003, a causa di forti attacchi di mal di testa e di problemi alla vista, partì con i propri genitori e lo zio Rosario, per una serie di controlli, dapprima in Italia, negli Ospedali di Avellino e di Verona, e successivamente presso la clinica INI in Hannover, dove venne sottoposto ad un intervento di biopsia al cervello. In questo periodo iniziò a scrivere un diario perché sperava di “riuscire a dare gioia e forza a chi ne ha bisogno”, definendo quello che stava vivendo come “una di quelle avventure che cambiano la tua vita e quella degli altri. Ti aiuta ad essere più forte e a crescere, soprattutto, nella fede (…) Questo è il diario di un bambino tredicenne in un’esperienza spettacolare (…). Ed è proprio il bello di questa avventura: sembra un sogno, ma è tutto vero”.
Le pagine del suo diario ci rivelano un Matteo che affronta il tutto con coraggio, sempre attento alla cura e alla serenità dell’altro, in continuo dialogo con Gesù; non rinuncia, infatti, alla recita quotidiana del Santo Rosario. Un’esperienza, la sua, che gli consentì di maturare velocemente sia dal punto di vista umano che dal punto di vista spirituale.
Dopo una degenza di circa due settimane ad Hannover, Matteo tornò a casa, accolto e circondato dall’amore della sua famiglia e dei suoi amici, convinto che fosse tutto finito. Gli esiti degli esami, purtroppo, indicavano un edema esteso nella zona temporo-occipitale destra del cervello, al di sotto della quale si sospettava la presenza di cellule maligne. Ciononostante, Matteo riprese la sua vita normalmente, impegnandosi con fervore negli esami di terza media, che superò con risultati eccellenti. Si rafforzò poi, in questo periodo, il suo amore per la “Madonnina”, tanto da consacrarsi al Cuore Immacolato di Maria con la pratica dei primi sabati del mese, e ritrovando piena consolazione e forza nelle parole della Madonna di Fatima.
Sempre fedele al vivere quotidianamente la Parola di Dio, Matteo creò un fondo per le missioni africane del Mozambico, nel quale non solo depositava i suoi risparmi, ma convinse i suoi familiari a rinunziare agli acquisti natalizi, commutandoli in offerta per i bisognosi dell’Africa.
Dopo appena dieci mesi dal ritorno a Brindisi, Matteo ebbe una forte crisi convulsiva, a seguito della quale la sua vista rimase danneggiata, ma questo non lo fermò; continuava, infatti, ad essere un adolescente innamorato della vita. Appassionato di computer, si iscrisse all’ ITIS “G. Giorgi” di Brindisi, ma purtroppo una risonanza magnetica rivelò la necessità di ritornare in Germania per sostenere il primo intervento di craniotomia per l’asportazione di un tumore celebrale di terzo grado. Era il gennaio 2005 e Matteo affrontò tutto con un abbandono incondizionato a Dio e al rispetto della sua volontà.
Dopo 40 giorni di chemio e radioterapia presso l’Istituto “Carlo Besta” di Milano, Matteo rientrò a Brindisi il 2 aprile 2005. Qui riprese progressivamente la sua vita di adolescente, rimettendosi alla pari con il programma scolastico con ottimi risultati, e avendo come sua prima preoccupazione la serenità dei suoi familiari, che confortava con profonda maturità, dimostrandosi mite e premuroso. Amico di tutti, disponibile verso l’altro, Matteo venne soprannominato dai suoi compagni “il moralizzatore”, perché sempre pronto a parlare di Dio e ad incoraggiare la pace nei rapporti di amicizia.
Terminato il biennio, Matteo si trasferì all’ITIS “Majorana” di Brindisi, per coltivare e approfondire la sua passione per la chimica, potendo così studiare la perfezione dell’atomo, in cui percepiva la grandezza di Dio. Il 19 settembre 2005 compiva 15 anni e, in una sua riflessione, manifestava una preoccupazione che gli stava molto a cuore: “Mi piacerebbe riuscire ad integrarmi con i miei coetanei senza essere però costretto a imitarli negli sbagli. Vorrei sentirmi più partecipe nel gruppo, senza però dover rinunciare ai miei principi cristiani. È difficile. Difficile ma non impossibile”.
Matteo continua la sua vita di adolescente sereno e francescano nell’animo, eccellendo negli studi, stringendo amicizie fondate sulla fiducia e il reciproco rispetto e, infine, dedicandosi alla sua grande passione per la musica, con la formazione di un gruppo, i “No Name”, di cui sarà il cantante. Non si allentava, tuttavia, il forte legame che sentiva verso il Signore, anzi, questo si intensificava ancora di più, perché Matteo avvertì la presenza e la guida di Gesù in ogni sua scelta. Ancora non gli era chiaro cosa il Signore volesse da lui come scelta di vita; si sentiva attirato verso il sacerdozio, ma era consapevole delle sue difficili condizioni di salute.
Dopo circa due anni, in seguito ai controlli periodici, iniziava a farsi strada la speranza che la malattia stesse regredendo. Nell’aprile 2007 Matteo conobbe e si innamorò, ricambiato, di Serena, che definirà “il dono più bello che il Signore potesse dargli”, vivendo con lei una relazione di amore puro, fondata sui principi cristiani. I due giovani sarebbero rimasti insieme fino alla fine, sostenendosi a vicenda, anche quando la malattia avrebbe preso il sopravvento, accogliendo il tutto con grande maturità e fede, come volontà del Signore.
Nell’ottobre 2008, mentre si apprestava a frequentare l’ultimo anno delle scuole superiori per poi sostenere l’esame di stato, Matteo partì nuovamente per Hannover perché, dai controlli periodici, risultava una seconda recidiva. La mamma Paola sentì il bisogno di far impartire al figlio l’Unzione degli infermi. Il 9 dicembre dello stesso anno, presso la Clinica INI, Matteo venne sottoposto al primo di tre interventi, che miravano a rimuovere il tumore al cervello.
Le condizioni di Matteo andarono peggiorando e nel gennaio 2009 egli venne sottoposto ad un terzo intervento, finalizzato a consentirgli il ritorno a casa, data, ormai, la constatata impotenza della medicina. Il 13 febbraio dello stesso anno, Matteo rientrava a Brindisi con una paralisi al braccio e alla gamba sinistra, conseguenza delle operazioni a cui era stato sottoposto. Pur costretto ad utilizzare la sedia a rotelle per muoversi, continuava a dimostrare tanta forza e, soprattutto, tanta fede, affidando tutto al Padre e ripetendo spesso: “Dobbiamo vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, ma non nella tristezza della morte, bensì nella gioia di essere pronti all’incontro con il Signore!”.
Alla fine del mese di marzo, a causa di una forte febbre e della sopraggiunta diminuzione della funzionalità degli arti, Matteo venne ricoverato all’Ospedale Perrino, dove ricevette la visita e la benedizione pasquale da parte dell’Arcivescovo Mons. Rocco Talucci. I medici, non potendo far più nulla per lui, consigliarono il ritorno a casa di Matteo, che, ormai, aveva solo brevi momenti di lucidità. Ricevette la sua ultima Comunione il 13 aprile 2009. Sempre fedele al suo amore per il Signore, per la “Madonnina” e per il suo prossimo, pur non potendo più esprimersi con le parole, Matteo, alla domanda della mamma di offrire la sua grande sofferenza per la salvezza delle anime, fece cenno di sì con la testa e con gli occhi. Fino all’ultimo fu attorniato dalla presenza, dall’amore e dalla preghiera dei suoi familiari e amici.
Il Servo di Dio morì il 24 aprile 2009.
È molto importante nel contesto di complessità che viviamo, evidenziare come questo giovane si sia distinto non solo nell’affrontare con serietà, impegno e consapevolezza la vita quotidiana, ma anche il delicato passaggio dall’essere ragazzo all’essere giovane, più maturo, più adulto. È affascinante seguire la crescita personale di Matteo, la sua sorpresa nell’apprendere qualcosa di nuovo, il suo percorso interiore.
Sembra che ogni giorno, ogni esperienza gli abbia insegnato qualcosa sulla vita e su Dio; qualcosa di cui lui fa tesoro e che lo aiuta pian piano a scoprire e costruire attivamente la casa del progetto del Signore sulla sua vita, che non vuole mai minimamente contrastare. In un testo scritto a dodici anni si esprime dicendo che «ha imparato a vivere».
La vita, anche nella situazione di malattia o con altre difficoltà, è la sua maestra che a sua volta gli insegna a vivere meglio. In questo modo, quasi naturale, si accorge di diventare gradualmente e spontaneamente uno strumento di edificazione anche per gli altri. Matteo si accorge che crescere e migliorare comporta delle difficoltà da affrontare, ma è animato da un costante spirito di fortezza che lo spinge a non arrendersi
In Matteo emerge un profondo impegno interiore orientato a purificare il cuore da ogni peccato. Il giovane vive questa dinamica spirituale non con pesantezza, sforzo o pessimismo; anzi, dalle sue parole emergono costante fiducia in Dio, sguardo tenace, determinato e sereno rivolto al futuro, accolto come una nuova occasione data per migliorare e far fiorire in lui i doni ricevuti dal Signore. Egli avverte fortemente la necessità di allontanare anche il più piccolo male dalla sua vita, per rispondere con maggiore radicalità e purezza all’amore di Dio e condividere relazioni serene, solidali, gioiose con gli altri.
Da questo impegno di Matteo scaturiscono sentimenti di felicità che sa godere delle bellezze semplici e autentiche della vita: l’amicizia e l’amore, il gioco, il riposo, il viaggio, il creato, la preghiera, la scrittura e la comunicazione.
Infine Matteo ama condividere la sua vita con gli altri. Le cose importanti e belle che ha scoperto per sé le propone e le diffonde perché tutto questo si possa arricchire e dilatare nella gioia della compagnia. Ma a questo si aggiunge per lui un fattore imprescindibile: la fede, i sacramenti, le intuizioni spirituali, il suo rapporto personale con Dio Trinità, con Maria Santissima, con i Santi (particolarmente San Pio da Pietrelcina e San Francesco d’Assisi), non sono tesori da custodire nel chiuso della propria interiorità, ma esperienze da testimoniare e annunciare a tutti, particolarmente ai suoi coetanei e amici, con spirito missionario.
Sia nel periodo precedente alla scoperta della malattia che in seguito, Matteo è sempre attento alle relazioni con gli altri, in particolare con gli amici. Esse sono espressioni della vicinanza di Dio. Se si può riconoscere in lui qualche preferenza o sensibilità maggiore, certamente l’ha avuta ed espressa verso persone e situazioni che richiedevano maggior aiuto e attenzione. Infatti manifesta la sua visione dell’amicizia come promozione del bene dell’altro, aiuto altruistico, incoraggiamento e sostegno verso l’amico. Gli “antipatici” o coloro che ci fanno “alterare” non sono esclusi dalla cerchia delle relazioni di Matteo.
Il suo sguardo, la sua attenzione sono attirati dalla debolezza, dalla fragilità, dalla mancanza di fede degli altri e dal loro stato di difficoltà. Matteo le prende a cuore e mostra premura, tenerezza, compassione per loro. La vera solitudine per Matteo è non aver nessuno da amare, nessuno a cui dare.
È presente in lui un’alta valorizzazione della prossimità, della vicinanza, considerata come dono, possibilità buona di vita condivisa, di incontro, scambio, relazione. Ma Matteo non si lascia trascinare dalla goliardia dello stare insieme. Sa valutare la qualità delle scelte, degli atteggiamenti, e del modo di vivere. C’è un’uguaglianza fondamentale nella dignità che lega ogni uomo ad un altro, anche se di ceto, cultura, provenienza sociale diversa. Se però avesse dovuto scegliere fra mantenere un’amicizia a discapito della fede e della coerenza dell’essere cristiano e di manifestarlo apertamente, Matteo stesso dice:
“L’amicizia, invece, è un sentimento che va coltivato e che deve nascere spontaneamente, perché l’amico vero è difficile da trovare, ma “chi trova un amico trova un tesoro”. Non colpevolizzo quindi chi mi è vicino e non riesce ad essere mio amico. Concludendo quindi è sì difficile essere cristiano e quindi farsi degli amici (a volte per sostenere la propria fede si possono anche spezzare delle amicizie), ma non dobbiamo temere a manifestare la nostra fede. Anche se tutti ci abbandonassero rimarrebbe sempre Lui, il nostro Dio, il nostro Padre celeste, il nostro migliore amico. Dio!”.
Oltre all’amicizia, per Matteo c’è un tipo di relazione che è particolarmente importante ed è quella tra gli sposi. Egli rappresenta questa relazione attraverso l’immagine della «mano nella mano». In quel gesto, che per Matteo accompagna tutta la vita coniugale di uomo e donna, c’è il mistero del loro amore fatto di compagnia, condivisione, unità profonda.
Una difficoltà che Matteo riscontra nello stare con gli altri, soprattutto i suoi coetanei, è quella di non riuscire sempre a condividere con loro la bellezza della fede.
Lui stesso si chiede cosa sia la fede. Non è capace di dare una definizione: “di preciso non lo so”, scrive; poi riflettendo dà alla fede questo significato:
“La fede non è però attendere grazie da Dio. No!
La fede è aggrapparsi a Dio per diffondere la sua Parola.
È pregare per nutrirsi del suo cibo, quello che servirà per sempre; è mettersi d’impegno per seguire i piani di Dio nel modo migliore; è chinare il capo senza rialzarlo con orgoglio; è fare il bene nel silenzio e riflettere sul male compiuto”.
Matteo cerca il modo di partecipare e proporre loro la sua fede in Dio, ma è consapevole delle tante resistenze che incontra nel cuore dei suoi amici, ma non li colpevolizza. Si impegna nel comprendere, studia, si industria per fare breccia nel cuore dei suoi giovani coetanei e far entrare Gesù (si definirà l’«Infiltrato»). La loro difficoltà nella fede diventa nel suo cuore interrogativo e progetto per riuscire nell’intento di farli sentire raggiunti dal Vangelo. Egli constata con preoccupazione che la fede oggi è ostacolata dalla «difficoltà ad andare contro corrente» e la mancanza di attenzione degli adulti, nell’educare alla vita cristiana. E comincerà lui, da giovane verso i giovani, a mostrare la sua personale attenzione per loro.
Egli prega continuamente per i giovani e arriva a dire: “Per quanto mi riguarda spero di riuscire a realizzare la mia missione di “Infiltrato” tra i giovani, parlando loro di Dio (illuminato proprio da Lui)…osservo chi mi sta intorno per entrare tra loro silenzioso come un virus e contagiarli di una malattia senza cura, l’Amore”.
La malattia è arrivata senza preavviso; era un ragazzo pieno di vita, allegro con i suoi progetti per l’avvenire, una ragazza, la musica, lo sport…
Tutto, all’improvviso sembrò cambiare; ma Matteo trovò nella preghiera e nell’amicizia con Gesù la sua forza; è lui stesso che parla del suo cammino nella malattia e dell’incontro con il sacerdote che lo ha aiutato a leggere anche in quello dolora esperienza un sego dell’amore di Dio:
“Un giorno giochi con i tuoi amici, ridi e sei felice. Poi all’improvviso lei, la sofferenza, la malattia. Senza neanche accorgertene vieni catapultato in un mondo che non ti sembra il tuo.
Sembra tutto impossibile, credi che queste cose accadano solo nei film.
Finalmente torni a casa: il Signore è grande, che gioia. Credi di essere guarito, ma poco dopo ti ritrovi di nuovo a soffrire. Non riesci a crederci. Credi che tutto ti stia crollando addosso.
Inaspettatamente, in un pomeriggio che avresti definito comune, che avresti sprecato come al solito a rattristarti, incontri un umile sacerdote, semplice ma saggio. Sotto la sua guida ti riagganci a Dio; ritrovi la gioia, la speranza. Torni a casa, tra parenti e amici, e tutto va splendidamente, sempre meglio. I medici non si spiegano i miglioramenti; ma tu invece lo sai, e ridi…
Vorresti gridare al mondo che faresti tutto per il tuo Salvatore, che sei pronto a soffrire per la salvezza delle anime, a morire per Lui.
Avrai modo di dimostrargli il tuo amore…”
Certamente, con il passare del tempo e la inutilità delle cure, ha sentito il peso della malattia che via via gli sottraeva la vita: la compagnia degli amici, l’amore della fidanzata Serena; ogni giorno aveva la sua fatica; eppure sapeva che Dio, nel suo amore, non lo aveva lasciato solo:
“Quando senti che non ce la fai, quando il mondo ti cade addosso, quando ogni scelta è una decisione critica, quando ogni azione è un fallimento… … e vorresti buttare via tutto, quando il lavoro intenso ti riduce allo stremo delle forze, sottraendoti tempo per prenderti cura della tua anima, amare Dio con tutto te stesso e riflettere il suo amore agli altri. Fatica.
Stringi i denti… eppure non ce la fai. Dio ti ha lasciato solo? No!
In silenzio ti sta sempre accanto asciugando le tue lacrime e tenendoti in braccio, finché non avrai la forza di camminare con i tuoi piedi, tenendolo con vigore per mano.
Fatica. “Accucciati” umile tra le sue braccia e lì sarai protetto finché non torna il bel tempo. Tornerai allora a splendere del suo amore, donando anche una carezza, un sorriso, il tuo piccolo contributo per aiutare chi è come te nella difficoltà, nella fatica; portalo da Dio… Risorgerà anche lui con il Nostro Signore ad una vita d’amore”.
Per quanto possa sembrare sorprendente in un giovane di appena 19 anni, Matteo aveva colto in profondità il valore della vita, la responsabilità di avere ricevuto il dono della fede, della famiglia; l’impegno a non buttare via la vita in cose futili, ma vivere in pienezza in senso umano e cristiano:
“Perché mi hai scelto? Perché la fede e tutti i tuoi doni? Chi sono io per meritare questo? Sono un servo inutile.
Ma non è questa la domanda giusta.
Chi sei Tu? Chi sei Tu per accontentarti di me?
Quanto è grande il tuo amore se nonostante i miei peccati mi scegli come tuo servo?
Perché me e non altri?
Vorrei immergermi nel tuo amore mio Dio, per poter vedere il mondo come lo vedi tu, anche per poco, per capire come fai a vincere tutto con l’amore.
Sono in mezzo a tanta gente che non crede in Te.
Perché chiami me a testimoniarti?
Ti basta il mio nulla?
Quali sono i tuoi progetti per me?
Come posso servirti?
E’ difficile vivere nel mondo quando la fede ci dice che non siamo del mondo.
Ma se me lo chiedi, se è per questo che mi hai voluto, non è impossibile. Conosci i miei limiti, meglio di me.
Mio Dio ho due mani, fa che una sia sempre stretta a te sicché in qualunque prova io non possa mai allontanarmi da te, ma stringerti sempre più; e l’altra mano, ti prego, se è tua volontà, lasciala cadere nel mondo… perché come io ho conosciuto te per mezzo di altri così anche chi non crede possa conoscerti attraverso me. Voglio essere uno specchio, il più limpido possibile, e, se è la tua volontà, riflettere la Tua luce nel cuore di ogni uomo.
Grazie, per la vita. Grazie, per la fede. Grazie, per l’amore.
Sono tuo”.
Matteo con la sua vita testimonia le parole di san Giovanni Paolo II alla GMG del 2000:
“In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna>> (Tor Vergata, sabato 19 agosto 2000).
dott.ssa Francesca Consolini, postulatrice Via Mons. Cambiaso 32/16 - 17031 Albenga (SV)