17 Nov

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

18 novembre 2018

Dal Vangelo secondo Marco 13, 24-32

“…Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria …… Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina; così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte. …… Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno…”.

Nel vangelo di oggi Gesù  parla ai suoi discepoli in modo che sappiano vivere gli eventi della storia nella prospettiva della sua venuta, li invita a vegliare e a pregare, ad essere pronti per accoglierlo. Il linguaggio apocalittico, che ne fa uno dei brani evangelici di più difficile interpretazione, non impedisce di cogliere il significato del discorso: egli è vicino, alle porte.

Al centro del capitolo stanno i versetti 24-27, che annunziano la venuta di Cristo come senso ultimo e meta a cui tende la storia.

Allora l’unica realtà a cui aggrapparsi sarà la parola di Gesù, testimonianza efficace di una fedeltà che non cambia: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (v.31). La realtà definitiva è solo Cristo, che viene a salvare. I primi versetti del nostro brano sono davvero il cuore di tutto il discorso; essi, in un quadro così buio ci portano uno spaccato luminoso, una forte nota di speranza: la certezza della vittoria di Cristo. La sua figura vittoriosa  appare agli occhi degli eletti e li illumina  dopo tanto buio: “allora vedranno il Figlio dell’Uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria” (v.26).

La figura del Signore glorioso e potente si propone alla contemplazione di quelli che hanno conservato la fede a prezzo di sofferenze e tribolazioni, rimanendo ancorati alla Sua parola. Lo vedranno quelli che hanno saputo guardarsi da chi li ingannava: la Sua visione è dunque la ricompensa per una vita spesa per Lui, una vita piena ed eterna in comunione col Cristo.

Gesù ci chiede di metterci alla scuola dell’albero di fico e, con esso, di tutta la natura, vista come parabola della storia di Dio con il mondo. La fedeltà alla terra e la condizione per attendere serenamente la venuta del Signore.

La paraboletta del fico, i cui rami diventano teneri e sul quale spuntano le prime turgide gemme, è una chiara ammonizione per i discepoli perché siano attenti nel riconoscere i germi del tempo finale. Anche se il tempo del ritorno di Gesù rimane sconosciuto, la conclusione della storia resta certa: il trionfo di Cristo.

I discepoli non devono mai perdere la tensione escatologica, che scaturisce dal fatto che il nostro tempo è già stato visitato dell’evento decisivo di Cristo: “In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute” (v.30). Bi sogna però vegliare e farsi trovare pronti al suo arrivo, come suggerisce anche la parabola conclusiva del nostro brano (vv.33-37).

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"E poi un giorno la luce, il pianto, non di sofferenza, ma quasi di commozione..."

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