I Domenica di Avvento – Anno “A”
Dal Vangelo secondo Matteo, Capitolo 24, versetti 37-44
“State pronti, perché nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà”
Il tempo di Avvento è ricordo della prima venuta di Cristo, e dunque una preparazione al Natale: Ma siamo anche in attesa di un ritorno glorioso, e cioè della sua seconda venuta; per questo il tempo di Avvento è un tempo in cui siamo invitati a crescere nella speranza, che sgorga proprio dalla certezza della sua prima venuta per amore di noi, che per esperienza sappiamo di essere già stati toccati dalla salvezza di Cristo.
Questa prima domenica di Avvento ha un tema predominante che è quello della certezza della parusia (= ultima venuta), e una visione della storia dell’uomo come preparazione, pellegrinaggio verso il Regno.
Il Vangelo e le altre due letture di oggi vogliono ottenere un effetto preciso: quello di farci tenere viva la vigilanza e la perseveranza, che è continuamente minacciata dal rischio della tiepidezza, della perdita di slancio, che ci fa smettere di attenderLo.
Il Vangelo di questa domenica è parte di uno dei grandi discorsi di Gesù, quello escatologico; nell’evangelista Matteo, che ci accompagnerà durante tutto quest’anno, secondo gli esegeti si evidenziano 5 grandi discorsi: della montagna, di missione, ecclesiastico, di parabole, escatologico.
Il brano che la liturgia ci propone all’inizio dell’Avvento è incentrato sull’invito al discernimento e alla vigilanza, e sviluppa il versetto 36 (che non compare nella liturgia di questa domenica, ma è importante per capire il senso del discorso che segue): “Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre”.
E’ un versetto il cui senso è chiaro: poiché la storia è nelle mani di Dio ogni sforzo di previsione e di controllo umano risulterebbe una negazione dell’assoluta signoria divina. Proprio il non poter prevedere una scadenza ed un termine deve provocare l’atteggiamento di attesa fervida e perseverante.
Il nostro brano è introdotto dal ricordo dei tempi di Noè, quando la gente viveva nell’assoluta ignoranza del suo destino, tutta dedita ed assorbita nelle sue preoccupazioni quotidiane, ciò serve a Gesù per stimolare l’uditore ad interrogarsi sulla sua esistenza.
Il contrasto è tra i giorni che precedettero il diluvio e il giorno in cui Noè entrò nell’arca. Questi giorni dovevano essere l’ultimo tempo per decidersi a convertirsi, mentre furono vissuti senza alcuna comprensione della serietà del momento. Il testo evangelico non vuole condannare le attività quotidiane, ma vuole ricordarci il rischio che il nostro cuore diventi greve di progetti e di preoccupazioni, e non sappia elevarsi più in alto, e guardare la storia nella giusta direzione, cioè volta verso l’attesa del giorno del compimento.
Vigilare significa esercitare l’intelligenza, la riflessione sui tempi che viviamo, per non essere sorpresi dalle catastrofi che si preparano nell’oggi della storia e della nostra storia.
Due esempi illustrano la minaccia che pesa sulla superficialità spirituale dell’umanità.
Se una sorte diversa è riservata ai due che si trovano nel campo, o alle due donne (v.41) questo significa che le condizioni esteriori sono identiche, ma l’atteggiamento interiore è opposto.
La necessità della vigilanza è ribadita dalla parabola conclusiva del nostro brano (v.43) che ci narra di un padrone di casa che veglia, facendo la guardia notturna, la sua casa e i suoi beni, perché sa che si stanno aggirando i ladri, e, anche se per lui è uno sforzo, rimane sveglio. La parabola ci illumina su quanto sarà decisivo l’atteggiamento di attesa dell’arrivo del Signore, che deve essere di vigilanza costante e rigorosa.
Il linguaggio di questi discorsi sul ‘tempo della fine’ (= tempo escatologico) mi pare richieda qualche breve spiegazione.
Le espressioni usate non hanno un valore descrittivo, ma vogliono essere provocatorie: per questo si servono di immagini paradossali e di simboli da interpretare. Questo modo di esprimersi non vuole infatti soddisfare la nostra curiosità sul ‘quando’ e sul ‘come’della fine del mondo, né incuterci paura. Queste pagine difficili del Vangelo vogliono invece educarci ad una sapienza di fede che cerca di interpretare con umiltà i segni di Dio nella storia, per potersi convertire , riconoscere la Sua volontà sui singoli e sul mondo, e per impegnarsi con la testimonianza della vita.
Queste difficili espressioni ci invitano insomma a guardare non tanto ‘la fine del mondo’, ma ‘il fine’ verso il quale la storia si dirige.
Ecco perché, proprio mentre ci accingiamo a ricordare la nascita di Gesù nella storia, la Chiesa orienta il nostro sguardo di speranza alla sua ultima venuta (la parusia), come Giudice e Salvatore.
Sr. Anna Maria Mulazzani o.s.b.