21 Apr

IV Domenica di Pasqua – Anno B

22 aprile 2018

Dal Vangelo secondo Giovanni 10, 11-18

“ Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde… Io sono il buon pastore, conosce le mie pecore, e le mie pecore conoscono me……”.

La sezione in cui ci troviamo (capp.5-10) è ritmata dal succedersi delle feste ebraiche, in occasione delle quali Gesù compie alcuni dei suoi ‘segni’.

Gesù, che si era già presentato come il ‘pane di vita’ e la ‘luce del mondo’, si manifesta come il ‘buon pastore’ (v.11).

Il nostro brano si divide in due parti.

Nella prima parte (vv.11-13) Gesù appare come il pastore buono  disposto a morire per proteggere le pecore. Sue nuovi personaggi entrano a far parte della similitudine: il mercenario e il lupo.

La differenza tra il pastore e il mercenario consiste nella proprietà: il mercenario è “colui al quale le pecore non appartengono” (v.12) e che, per questo, non ha un motivo valido per mettere a repentaglio la propria vita.

Nella seconda parte (vv.14-18) il pastore è bravo perché conosce le pecore, le distingue le une dalle altre, e anche le pecore sanno distinguere la voce e il richiamo del pastore.

Non è difficile trasferire l’idea dall’immagine alla realtà che si vuol comunicare: Gesù, come Javeh, conosce intimamente il suo popolo poiché è in intimità con Dio stesso:”… come il Padre conosce me ed io conosco il Padre” (v.15).

La rivelazione del pastore diventa anche rivelazione della qualità della pecora, cioè, fuori di metafora, del credente che segue il pastore Gesù Cristo: il credente è colui che conosce il Signore e ne ascolta la voce. (vv. 14.16).

Giovanni parla di una conoscenza reciproca tra pecore e pastore, da intendere come intimità di vita, ma più impartante per il IV evangelista è l’idea dell’ offrire la vita, cioè l’immagine di un pastore che muore per dare la vita alle pecore, che rimanda a Isaia 53, 5-7: “…era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca”.

Ecco la novità e il paradosso di Gv.10: il Dio-Pastore ed il Servo-Agnello sono la stessa persona!

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"E poi un giorno la luce, il pianto, non di sofferenza, ma quasi di commozione..."

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